martedì 28 aprile 2020

STEP #10-"Il Labirinto"

Per quanto riguarda il cinema, ecco di seguito riportata la scena dove viene presentato il giardino-labirinto dell' Overlook Hotel in Shining:




STEP #09-"Il giardino dell'impressionismo"

Il giardino dell'artista a Giverny
Claude Monet
1900
Musée d'Orsay, Parigi

lunedì 27 aprile 2020

STEP #08-"I giardini di Adone e il rapporto tra scrittura e parola"

I Dialoghi di Platone costituiscono quasi tutta la sua produzione letteraria e filosofica. Questi sono 34 al quale si aggiunge un Epistolario e L'Apologia di Socrate. In particolar modo si può ritrovare il termine "giardino" nel dialogo tra Socrate e Fedro. Vengono così nominati i Giardini di Adone i quali erano dei piccoli vasi con all'interno del terriccio e alcuni semi di frumento che venivano portati sui tetti a terrazza salendo delle scale a pioli. Questi semi esposti al forte calore del sole, anche perché questa pratica in onore di Adone veniva fatta durante il periodo della Canicola, a luglio, sarebbero germogliati e fioriti per poi appassire repentinamente senza dare alcun frutto. Infine questi venivano gettati in delle sorgenti o in mare per poi scomparire.
Platone

Perché Socrate nel dialogo cita questa usanza?

Bisogna partire dal presupposto che nel V secolo a.C. ci fu un momento in cui il libro ha cominciato a prendere sempre più piede in Grecia sostituendo quella che era la tradizione orale. Il filosofo riporta poi nel suo discorso con Fedro il modo di ragionare del contadino saggio che tenendo ai propri semi pianterà questi nei luoghi e nei momenti giusti, aspettando il dovuto, per poi ricavarne dei frutti ripudiando quella che è la pratica dei giardini di Adone. La similitudine sta nel fatto che Socrate paragoni i giardini di Adone alla scrittura che risulta incapace di trasmettere dei messaggi seri e profondi. Questa incapacità è inoltre data dal fatto che non vi sia uno scambio interattivo di idee tra maestro e discepoli ma soltanto una trasmissione meccanica di nozioni che però non favorisce la nascita di un nuovo pensiero. A fare ciò è invece il dialogo che, oltre a favorire la trasmissione di messaggi più profondi e complessi, permette lo scambio di idee e fa in modo che i semi della conoscenza di germoglino dando vita a quelli che saranno nuovi modi di pensare e che rimarranno poi fortemente impressi all'interno dell'anima. Ecco di seguito il passo di Fedro:


Terrazze dove venivano riposti i Giardini di Adone

SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha senno pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone i semi che gli stessero a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa, quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto, sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi? 

FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli altri, come tu dici. 

SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle cose giuste, belle e buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue sementi? 

FEDRO: Nient'affatto. 

SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la verità. 

FEDRO: No, almeno non è verosimile. 

SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso giunga «alla vecchiaia dell'oblio», e per chiunque segua la sua stessa orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi, egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in ciò di cui parlo. 

FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate, rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi, narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli. 

SOCRATE: Così è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. 

FEDRO: Ciò che dici è molto più bello.

Fonti:
-https://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/allegati/Mariani-Eden-VIII-Desideri.pdf

Fonti immagini:
-http://www.succedeoggi.it/2016/07/la-questione-platone/
-https://www.romanoimpero.com/2014/04/adonaea-giardini-di-adone.html

domenica 26 aprile 2020

STEP #07-"Il giardino di Armida"

Come citato nel post precedente, un esempio di giardino nella letteratura, stavolta in versi e non in prosa, viene portato da Tasso nella Gerusalemme Liberata, più precisamente nel XV canto con il Giardino di Armida. Questo viene presentato a livello estetico come una specie di locus amoenus , uno spazio idilliaco nel quale sembra esserci sempre la primavera che però è in realtà il frutto di un artificio diabolico. Infatti il giardino in questione non è altro che un luogo di tentazione per i due cavalieri, Carlo e Ubaldo. Di seguito il passo:




XV, 53
Ma poi che già le nevi ebber varcate
e superato il discosceso e l’erto,
un bel tepido ciel di dolce state
trovaro, e ‘l pian su ‘l monte ampio ed aperto.
Aure fresche mai sempre ed odorate
vi spiran con tenor stabile e certo,
né i fiati lor, sí come altrove sòle
sopisce o desta, ivi girando, il sole;

 54
né, come altrove suol, ghiacci ed ardori
nubi e sereni a quelle piaggie alterna,
ma il ciel di candidissimi splendori
sempre s’ammanta e non s’infiamma o verna,
e nudre a i prati l’erba, a l’erba i fiori,
a i fior l’odor, l’ombra a le piante eterna.
Siede su ‘l lago e signoreggia intorno
i monti e i mari il bel palagio adorno.

55
I cavalier per l’alta aspra salita
sentiansi alquanto affaticati e lassi,
onde ne gian per quella via fiorita
lenti or movendo ed or fermando i passi.
Quando ecco un fonte, che a bagnar gli invita
l’asciutte labbia, alto cader da’ sassi
e da una larga vena, e con ben mille
zampilletti spruzzar l’erbe di stille.

56
Ma tutta insieme poi tra verdi sponde
in profondo canal l’acqua s’aduna,
e sotto l’ombra di perpetue fronde
mormorando se ‘n va gelida e bruna,
ma trasparente sí che non asconde
de l’imo letto suo vaghezza alcuna;
e sovra le sue rive alta s’estolle
l’erbetta, e vi fa seggio fresco e molle.

57
«Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio
che mortali perigli in sé contiene.
Or qui tener a fren nostro desio
ed esser cauti molto a noi conviene:
chiudiam l’orecchie al dolce canto e rio
di queste del piacer false sirene,
cosí n’andrem fin dove il fiume vago
si spande in maggior letto e forma un lago.»

58
Quivi de’ cibi preziosa e cara
apprestata è una mensa in su le rive,
e scherzando se ‘n van per l’acqua chiara
due donzellette garrule e lascive,
ch’or si spruzzano il volto, or fanno a gara
chi prima a un segno destinato arrive.
Si tuffano talor, e ‘l capo e ‘l dorso
scoprono alfin dopo il celato corso.

59
Mosser le natatrici ignude e belle
de’ duo guerrieri alquanto i duri petti,
sí che fermàrsi a riguardarle; ed elle
seguian pur i lor giochi e i lor diletti.
Una intanto drizzossi, e le mammelle
e tutto ciò che piú la vista alletti
mostrò dal seno in suso, aperto al cielo;
e ‘l lago a l’altre membra era un bel velo.

60
Qual matutina stella esce de l’onde
rugiadosa e stillante, o come fuore
spuntò nascendo già da le feconde
spume de l’ocean la dea d’amore,
tal apparve costei, tal le sue bionde
chiome stillavan cristallino umore.
Poi girò gli occhi, e pur allor s’infinse
que’ duo vedere e in sé tutta si strinse;

61
e ‘l crin, ch’in cima al capo avea raccolto
in un sol nodo, immantinente sciolse,
che lunghissimo in giú cadendo e folto
d’un aureo manto i molli avori involse.
Oh che vago spettacolo è lor tolto!
ma non men vago fu chi loro il tolse.
Cosí da l’acque e da’ capelli ascosa
a lor si volse lieta e vergognosa.

62
Rideva insieme e insieme ella arrossia,
ed era nel rossor piú bello il riso
e nel riso il rossor che le copria
insino al mento il delicato viso.
Mosse la voce poi sí dolce e pia
che fòra ciascun altro indi conquiso:
«Oh fortunati peregrin, cui lice
giungere in questa sede alma e felice!

63
Questo è il porto del mondo; e qui è il ristoro
de le sue noie, e quel piacer si sente
che già sentí ne’ secoli de l’oro
l’antica e senza fren libera gente.
L’arme, che sin a qui d’uopo vi foro,
potete omai depor securamente
e sacrarle in quest’ombra a la quiete,
ché guerrier qui solo d’Amor sarete,

64
e dolce campo di battaglia il letto
fiavi e l’erbetta morbida de’ prati.
Noi menarenvi anzi il regale aspetto
di lei che qui fa i servi suoi beati,
che v’accorrà nel bel numero eletto
di quei ch’a le sue gioie ha destinati.
Ma pria la polve in queste acque deporre
vi piaccia, e ‘l cibo a quella mensa tòrre.»

65
L’una disse cosí, l’altra concorde
l’invito accompagnò d’atti e di sguardi,
sí come al suon de le canore corde
s’accompagnano i passi or presti or tardi.
Ma i cavalieri hanno indurate e sorde
l’alme a que’ vezzi perfidi e bugiardi,
e ‘l lusinghiero aspetto e ‘l parlar dolce
di fuor s’aggira e solo i sensi molce.

66
E se di tal dolcezza entro trasfusa
parte penètra onde il desio germoglie,
tosto ragion ne l’arme sue rinchiusa
sterpa e riseca le nascenti voglie.
L’una coppia riman vinta e delusa,
l’altra se ‘n va, né pur congedo toglie.
Essi entràr nel palagio, esse ne l’acque
tuffàrsi: la repulsa a lor sí spiacque.


XVI, 1
Tondo è il ricco edificio, e nel piú chiuso
grembo di lui, ché quasi centro al giro,
un giardin v’ha ch’adorno è sovra l’uso
di quanti piú famosi unqua fioriro.
D’intorno inosservabile e confuso
ordin di loggie i demon fabri ordiro,
e tra le oblique vie di quel fallace
ravolgimento impenetrabil giace.

2
Per l’entrata maggior (però che cento
l’ampio albergo n’avea) passàr costoro.
Le porte qui d’effigiato argento
su i cardini stridean di lucid’oro.
Fermàr ne le figure il guardo intento,
ché vinta la materia è dal lavoro:
manca il parlar, di vivo altro non chiedi;
né manca questo ancor, s’a gli occhi credi.

3
Mirasi qui fra le meonie ancelle
favoleggiar con le conocchia Alcide.
Se l’inferno espugnò, resse le stelle,
or torce il fuso; Amor se ‘l guarda, e ride.
Mirasi Iole con la destra imbelle
per ischerno trattar l’armi omicide;
e indosso ha il cuoio del leon, che sembra
ruvido troppo a sí tenere membra.

4
D’incontra è un mare, e di canuto flutto
vedi spumanti i suoi cerulei campi.
Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto
di navi e d’arme, e uscir da l’arme i lampi.
D’oro fiammeggia l’onda, e par che tutto
d’incendio marzial Leucate avampi.
Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi
trae l’Oriente: Egizi, Arabi ed Indi.

5
Svelte notar le Cicladi diresti
per l’onde, e i monti co i gran monti urtarsi;
l’impeto è tanto, onde quei vanno e questi
co’ legni torreggianti ad incontrarsi.
Già volàr faci e dardi, e già funesti
sono di nova strage i mari sparsi.
Ecco (né punto ancor la pugna inchina)
ecco fuggir la barbara reina.

6
E fugge Antonio, e lasciar può la speme
de l’imperio del mondo ov’egli aspira.
Non fugge no, non teme il fier, non teme,
ma segue lei che fugge e seco il tira.
Vedresti lui, simile ad uom che freme
d’amore a un tempo e di vergogna e d’ira,
mirar alternamente or la crudele
pugna ch’è in dubbio, or le fuggenti vele.

7
Ne le latebre poi del Nilo accolto
attender par in grembo a lei la morte,
e nel piacer d’un bel leggiadro volto
sembra che ‘l duro fato egli conforte.
Di cotai segni variato e scolto
era il metallo de le regie porte.
I due guerrier, poi che dal vago obietto
rivolser gli occhi, entràr nel dubbio tetto.

8
Qual Meandro fra rive oblique e incerte
scherza e con dubbio corso or cala or monta,
queste acque a i fonti e quelle al mar converte,
e mentre ei vien, sé che ritorna affronta,
tali e piú inestricabili conserte
son queste vie, ma il libro in sé le impronta
(il libro, don del mago) e d’esse in modo
parla che le risolve, e spiega il nodo.

9
Poi che lasciàr gli aviluppati calli,
in lieto aspetto il bel giardin s’aperse:
acque stagnanti, mobili cristalli,
fior vari e varie piante, erbe diverse,
apriche collinette, ombrose valli,
selve e spelonche in una vista offerse;
e quel che ‘l bello e ‘l caro accresce a l’opre,
l’arte, che tutto fa, nulla si scopre.

10
Stimi (sí misto il culto è co ‘l negletto)
sol naturali e gli ornamenti e i siti.
Di natura arte par, che per diletto
l’imitatrice sua scherzando imiti.
L’aura, non ch’altro, è de la maga effetto,
l’aura che rende gli alberi fioriti:
co’ fiori eterni eterno il frutto dura,
e mentre spunta l’un, l’altro matura.

11
Nel tronco istesso e tra l’istessa foglia
sovra il nascente fico invecchia il fico;
pendono a un ramo, un con dorata spoglia,
l’altro con verde, il novo e ‘l pomo antico;
lussureggiante serpe alto e germoglia
la torta vite ov’è piú l’orto aprico:
qui l’uva ha in fiori acerba, e qui d’or l'have
e di piropo e già di nèttar grave.

12
Vezzosi augelli infra le verdi fronde
temprano a prova lascivette note;
mormora l’aura, e fa le foglie e l’onde
garrir che variamente ella percote.
Quando taccion gli augelli alto risponde,
quando cantan gli augei piú lieve scote;
sia caso od arte, or accompagna, ed ora
alterna i versi lor la musica òra.

13
Vola fra gli altri un che le piume ha sparte
di color vari ed ha purpureo il rostro,
e lingua snoda in guisa larga, e parte
la voce sí ch’assembra il sermon nostro.
Questi ivi allor continovò con arte
tanta il parlar che fu mirabil mostro.
Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti,
e fermaro i susurri in aria i venti.

14
«Deh mira» egli cantò «spuntar la rosa
dal verde suo modesta e verginella,
che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa,
quanto si mostra men, tanto è piú bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
dispiega; ecco poi langue e non par quella,
quella non par che desiata inanti
fu da mille donzelle e mille amanti.

15
Cosí trapassa al trapassar d’un giorno
de la vita mortale il fiore e ‘l verde;
né perché faccia indietro april ritorno,
si rinfiora ella mai, né si rinverde.
Cogliam la rosa in su ‘l mattino adorno
di questo dí, che tosto il seren perde;
cogliam d’amor la rosa: amiamo or quando
esser si puote riamato amando.»

16
Tacque, e concorde de gli augelli il coro,
quasi approvando, il canto indi ripiglia.
Raddoppian le colombe i baci loro,
ogni animal d’amar si riconsiglia;
par che la dura quercia e ‘l casto alloro
e tutta la frondosa ampia famiglia,
par che la terra e l’acqua e formi e spiri
dolcissimi d’amor sensi e sospiri.

Fonti immagini:
-https://illuminationschool.wordpress.com/2014/02/05/rinaldo-e-armida-giardini-specchi-e-labirinti/

venerdì 24 aprile 2020

STEP #06-"La vigna di Renzo"

Nella letteratura italiana ci sono vari esempi di giardino ma per la maggior parte in opere poetiche come per esempio il Giardino di Armida nella Gerusalemme liberata di Tasso oppure sono "pensieri" come il giardino descritto nello Zibaldone di Leopardi. Nella narrativa invece può esser preso in considerazione la Vigna di Renzo presentata nel XXXIII capitolo dei Promessi Sposi. Il ragazzo, dopo esser tornato nel suo paese per avere notizie di Lucia, va a controllare le condizioni della casa e scopre che questa e la vigna sono completamente distrutte. Il personaggio di Renzo non si sofferma più di tanto su quello che era una volta il suo giardino ma lo fa invece il narratore, ovvero Manzoni stesso.Il passo così recita:




 "Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi e porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle loro foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli; là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avvitacchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendono l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone."


Quella che a primo impatto può risultare soltanto una descrizione arzigogolata quasi tendente al barocchismo, è in realtà un'analogia che Manzoni usa per esprimere il suo pensiero su quella che è la condizione umana nella società. 
L'analogia è caratterizzata da un termine che funge da trait d'union tra ciò di cui si parla esplicitamente e tra ciò di cui si vorrebbe parlare nella realtà. In questo caso la parola è "marmaglia" che viene usata nella descrizione per indicare, in questo caso, tutte le erbacce cresciute nella vigna che cercano si sovrastarsi l'un l'altra per avere un proprio posto. Questo termine ci fa capire l'opinione fortemente negativa che ha l'autore nei confronti dell'umanità considerata reietta, cosa già messa in evidenza nel romanzo quando sono stati raccontati nel XII capitolo i tumulti milanesi.
Quindi "la vigna di Renzo" è un momento che l'autore prende per se stesso dove questo, abbandonando la narrazione, esprime un suo punto di vista ideologico quasi pietoso verso quella che era la società di quel periodo.

martedì 21 aprile 2020

STEP #05-"È più di un giardino se fatto da te"


Leroy Merlin con questo spot ci racconta la storia di una coppia e della loro piantina che li accompagna lungo la loro vita e i loro traslochi. Ciò che la pubblicità vuole trasmettere,oltre a voler enfatizzare ovviamente i propri prodotti(è pur sempre uno spot commerciale), è il modo in cui una cosa comune come il giardino di una casa possa diventare unica arricchendolo con una piccola parte di sé stessi e della propria vita.

giovedì 16 aprile 2020

STEP #04-"Eden, l'inizio del libero arbitrio"

Tutti i popoli antichi hanno una propria storia della creazione, e un luogo, ormai inaccessibile, nel quale la vita sarebbe stata un tempo felicissima. Nelle varie mitologie si parla di monti dai quali poi si diramerebbero vari fiumi, fonte di vita. Esempi sono il Meru nella mitologia indiana, Asgard in quella norrena e il Giardino dell'Eden nella cultura ebraico cristiana. Quest'ultimo mito sarà il protagonista di questo post. 
Il paradiso terrestre viene descritto nella Genesi biblica come un luogo nel quale Dio ha posto tutti gli esseri viventi tra cui anche la prima coppia di uomini, Adamo ed Eva, con il compito di amministrare tutto ciò che era stato creato in precedenza. Nel giardino erano due gli alberi più importanti, l'Albero della Vita e l'Albero della conoscenza del Bene e del Male, dove però sui frutti di quest'ultimo era stato imposto da Dio stesso il divieto di essere mangiati. Tentati da Satana sotto forma di serpente, Adamo ed Eva violarono il veto imposto e ,esiliati dall'Eden, non poterono più mangiare i frutti dell'albero della vita e quindi furono destinati alla morte generando il peccato originale.
Giardino dell'Eden
Anche se la Bibbia dovrebbe essere interpretata dal punto di vista allegorico, il mito sul come l'uomo abbia perso il diritto di rimanere nell'Eden ci fa comprendere la concezione di libero arbitrio da parte della religione cristiano/ebraica. Ne parla a lungo Sant'Agostino nell'opera De libero arbitrio dove per l'appunto si chiede quanto conti l'essere umano nello scegliere il suo fato. Per prima cosa egli si allontana dalla concezione del manicheismo dove il Bene è contrapposto al Male e identifica quest'ultimo come una degenerazione del primo. Inoltre afferma che Dio,anche giudicando in modo ab aeterno l'uomo, ovvero conoscendone il destino fin dal principio, non va ad inficiare sulla capacità di scelta di quest'ultimo. A questo punto Agostino si chiede se davvero l'uomo soltanto con le sue azioni e quindi con la sua capacità di scelta sia in grado di procurarsi la salvezza. Questa affermazione comporterebbe però la quasi inutilità del sacrificio di Cristo e di qualsiasi altro intervento superiore e per questo viene introdotto il concetto di grazia divina. Infatti secondo il filosofo di Ippona è Dio che fornendo la grazia permette all'uomo di avere un percorso che poi lo porterà alla vita eterna. E' quindi l'uomo libero di scegliere? Sì, però tutte queste scelte sono condizionate dalla presenza o meno della grazia divina.
Sant'Agostino di Ippona

STEP #24-"Sintesi finale"

Questo blog è nato per analizzare tutte le sfaccettature del termine  giardino . Siamo partiti dal definire un' etimologia e una descriz...