venerdì 24 aprile 2020

STEP #06-"La vigna di Renzo"

Nella letteratura italiana ci sono vari esempi di giardino ma per la maggior parte in opere poetiche come per esempio il Giardino di Armida nella Gerusalemme liberata di Tasso oppure sono "pensieri" come il giardino descritto nello Zibaldone di Leopardi. Nella narrativa invece può esser preso in considerazione la Vigna di Renzo presentata nel XXXIII capitolo dei Promessi Sposi. Il ragazzo, dopo esser tornato nel suo paese per avere notizie di Lucia, va a controllare le condizioni della casa e scopre che questa e la vigna sono completamente distrutte. Il personaggio di Renzo non si sofferma più di tanto su quello che era una volta il suo giardino ma lo fa invece il narratore, ovvero Manzoni stesso.Il passo così recita:




 "Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi e porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle loro foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli; là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avvitacchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendono l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone."


Quella che a primo impatto può risultare soltanto una descrizione arzigogolata quasi tendente al barocchismo, è in realtà un'analogia che Manzoni usa per esprimere il suo pensiero su quella che è la condizione umana nella società. 
L'analogia è caratterizzata da un termine che funge da trait d'union tra ciò di cui si parla esplicitamente e tra ciò di cui si vorrebbe parlare nella realtà. In questo caso la parola è "marmaglia" che viene usata nella descrizione per indicare, in questo caso, tutte le erbacce cresciute nella vigna che cercano si sovrastarsi l'un l'altra per avere un proprio posto. Questo termine ci fa capire l'opinione fortemente negativa che ha l'autore nei confronti dell'umanità considerata reietta, cosa già messa in evidenza nel romanzo quando sono stati raccontati nel XII capitolo i tumulti milanesi.
Quindi "la vigna di Renzo" è un momento che l'autore prende per se stesso dove questo, abbandonando la narrazione, esprime un suo punto di vista ideologico quasi pietoso verso quella che era la società di quel periodo.

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